Pignoramenti agli evasori, la prova del bluff di Meloni: la norma c’è già e l’anno scorso ha fatto recuperare quasi 1 miliardo al fisco

Pignoramenti agli evasori, la prova del bluff di Meloni: la norma c’è già e l’anno scorso ha fatto recuperare quasi 1 miliardo al fisco

Avviso alla “navigante” Giorgia Meloni, che giovedì via social ha garantito agli elettori che “nella legge di bilancio NON C’È la misura che consentirebbe all’Agenzia delle Entrate di accedere direttamente ai conti correnti per recuperare le imposte non pagate”: il pignoramento diretto dei c/c degli evasori o dei loro stipendi e pensioni da parte del fisco, senza passaggio davanti a un giudice, è realtà da 15 anni. Nel 2022 è stato avviato dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione in 256.466 casi e, nonostante la bassa efficacia legata al fatto che la procedura è molto lenta e il debitore ha tutto il tempo di spostare altrove i soldi, ha consentito il recupero di 997 milioni di euro di debiti non pagati. Nel 2019, ultimo anno “normale” prima della pandemia, i pignoramenti presso terzi erano stati 369.871 per 765 milioni incassati.

Le modifiche in corsa alle bozze della manovra non cambiano nulla su questo fronte. Stando all’ultima versione è infatti confermato, con qualche aggiustamento, quanto previsto nel testo datato 23 ottobre: in attuazione della delega fiscale approvata dal Parlamento in agosto, l’agente della riscossione potrà dal 2024 acquisire con modalità telematiche “tutte le informazioni necessarie” sulle cifre presenti in quel momento sul conto e sugli altri crediti che fanno capo al debitore. Poi avvierà il recupero coattivo con le modalità consentite fin dal 2008. Insomma: resta la novità più attesa dall’Agenzia, che già accede all‘Anagrafe dei rapporti finanziari in cui però sono contenuti solo saldo iniziale e finale dell’anno e giacenza media. Poco cambia il fatto che sia stato cancellato in extremis il comma sulla notifica dell’ordine di pagamento. Si procederà come avviene già oggi, con l’ordine alla banca o al datore di lavoro di versare le somme dovute al fisco. Una procedura che nel 2008 ha passato il vaglio della Corte costituzionale e che nessun successivo governo ha proposto di abolire.

La tempesta in un bicchier d’acqua è stata scatenata, come accade spesso quando si parla del disastrato sistema che dovrebbe consentire allo Stato di incassare le imposte dovute, dal combinato disposto tra una norma molto tecnica, la sua traduzione in titoli iper semplificati e la reazione pavloviana sia dei partiti di maggioranza (che i contenuti della manovra avrebbero dovuto conoscerli) sia di alcuni esponenti di opposizione. Tra cui il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte che si è spinto a definire Meloni “lady tax” lamentando una presunta riduzione delle possibilità dei contribuenti “di difendersi su richieste del fisco anche se contestate”.

Superato l’impasse politico, il risultato finale è una norma che risolve alcune criticità ma sfortunatamente per le casse dello Stato non interviene sui tempi lunghi delle procedure di riscossione. Prima che si arrivi al pignoramento occorre che il contribuente non paghi il dovuto, riceva comunicazione dal fisco, continui a non pagare e non contesti il debito, si arrivi così all’iscrizione a ruolo con relativa cartella esattoriale, il debitore continui a far finta di niente e, passato un anno, ignori anche l’avviso di intimazione che gli dà cinque giorni per mettersi in regola o chiedere la rateizzazione. Insomma: i tempi per reagire e difendersi, nel caso le contestazioni dell’Agenzia siano errate, sono decisamente ampi. E vengono sfruttati dagli evasori per preordinare le propria insolvenza intestando conti e beni a prestanome o famigliari. Più difficile nascondere uno stipendio, che però in nome della tutela del contribuente può essere pignorato in misura limitata, come la pensione.

È per questo che, stando ai dati raccolti dalla Corte dei Conti nell’ultima Relazione sul Rendiconto generale dello Stato, i pignoramenti presso terzi “efficaci” – cioè quelli che sfociano in pagamenti significativi in rapporto al debito – sono stati nel 2021 solo il 20,1% del totale. Si tratta comunque, dopo gli avvisi di intimazione, della procedura di riscossione che porta maggiori incassi. La magistratura contabile evidenzia che il 47% delle procedure di pignoramento, “in cui sono ricompresi principalmente i pignoramenti di conto corrente bancario ed i pignoramenti dei crediti per pagamenti della Pubblica Amministrazione” visto che quelli mobiliari e immobiliari sono ormai rarissimi, hanno riguardato contribuenti con debiti iscritti a ruolo superiori a 250mila euro. In generale, nota la Corte dei Conti, la riscossione coattiva dei grandi debiti è ancora più debole e inefficace di quella dei piccoli ruoli: nel 2022 è stato recuperato solo lo 0,9% dei carichi sopra i 100mila euro.